quinta-feira, 23 de outubro de 2014

LA COMUNIONE DEI BENI A GERUSALEMME E AD ANTIOCHIA


LA COMUNIONE DEI BENI A GERUSALEMME E AD ANTIOCHIA
LETTURA ATTUALIZZANTE DEGLI ATTI DEGLI APOSTOLI
(At 4,32-5,6; 11,26-30)
“Vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; e vieni! Seguimi!” (Lc 18,22);
“Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito ai singoli secondo il bisogno di ciascuno” (At 4, 34-35).
Tra la condizione posta da Gesù al notabile “molto ricco” per seguirlo e la prassi della comunità giudeo-credente di Gerusalemme, non c’è alcuna continuità. Mentre Gesù chiede al ricco di sbarazzarsi di tutti i suoi beni e di darli ai poveri, i primi giudeo-credenti vendono i loro beni, ma, anziché dare il ricavato ai poveri, lo capitalizzano, accumulandolo all’interno della loro comunità.
È evidente che il modello economico della primitiva comunità giudeo-credente non si ispira alle parole di Gesù ma a quello, già conosciuto, delle comunità monastiche essene : “La regola è che chi entra metta il suo patrimonio a disposizione della comunità, sì che in mezzo a loro non si vede né lo squallore della miseria, né il fasto della ricchezza, ed essendo gli averi di ciascuno uniti insieme, tutti hanno un unico patrimonio come tanti fratelli” .
La buona notizia
Gli Atti degli Apostoli formano la seconda parte dell’opera composta da Luca (At 1,1) . Se nella prima parte l’evangelista presenta l’insegnamento e le opere del Cristo, nella seconda segnala le luci e le ombre della pratica del vangelo e di come questo venne inteso, o frainteso, dalle comunità che stavano nascendo. Fin dalle prime righe del vangelo di Luca si avverte la sua preoccupazione per l’aspetto sociale, per il tema del denaro e quello della povertà. Delle quattro volte che nel Nuovo Testamento appare la parola mamona , ben tre sono in Luca . Mentre i rabbini distinguevano tra mamona menzognera e verace , per Gesù mamona è sempre disonesta, cioè ac¬quisita in maniera ingiusta e l’unico suo riscatto è usarla per fare del bene . Gesù pone i suoi discepoli di fronte a una scelta radicale: “Non potete servire Dio e mamona” (Lc 16,13). Il servizio a Dio e l’accumulo della ricchezza sono incompatibili poiché la fiducia nel dio-denaro porta al disprezzo del Signore . Pensare di poter usare la ricchezza per meglio servirlo è un tradimento del messaggio di Gesù e una tentazione diabolica (Lc 4,5-6).
Già nel cantico posto in bocca a Maria, Luca descrive un Signore che mentre “ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,53; Sal 107,9), e nella predicazione di Giovanni il Battista è sempre presente il richiamo alla giustizia sociale .
Quando Gesù compare, le sue prime parole sono per annunciare la fine della povertà per i miseri, perché lo Spirito, ricevuto al momento del battesimo, lo “ha mandato per annunziare la buona notizia ai poveri” (Lc 4,18), e la buona notizia che i poveri attendono non è altro che la fine della loro indigenza.
I primi discepoli chiamati da Gesù comprendono di dover orientare diversamente la loro esistenza e di dover fare una scelta radicale, per questo “tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5,11.28), e Gesù li dichiara “beati” perché questa scelta per la povertà consente loro di sperimentare la signoria di Dio (Lc 6,20). Gesù piange come morti i ricchi , presentati come persone meschine che, anziché possedere i beni, ne vengono possedute: “Stupido, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?” (Lc 12,20)
Nella parabola del ricco e di Lazzaro, la descrizione che Gesù fa dell’uomo ricco è eloquente. Il contesto della parabola è quello di una polemica tra Gesù e “i farisei, che erano attaccati al denaro, e ascoltavano tutte queste cose e si burlavano di lui” (Lc 16,14), e il racconto inizia con l’illustrazione, contenuta in un solo versetto, del ricco: “C’era un uomo ricco, che portava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti” (Lc 16,19). Il ricco tenta di mascherare la povertà interiore con lo splendore delle vesti, e di saziare la fame di pienezza di vita con l’abbondanza di cibo. Lo sfarzo della sua esistenza nasconde la miseria della sua vita. Pensa di essere ricco, di non aver bisogno di nulla, “ma non sa di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo” (Ap 3,17).
Per Gesù il valore dell’individuo consiste nel suo essere generoso (Lc 11,34-36). Per questo nel suo insegnamento invita a donare e di donarsi generosamente, per essere simili al Padre (Lc 6,31-38) e per sperimentare sempre, in ogni istante, la sua tenera e vigile presenza (Lc 12,22-31).
Nell’unica preghiera che insegna, Gesù invita i suoi discepoli a cancellare i debiti dei debitori (Lc 11,4). Non è possibile che nella comunità che ha fatto la scelta delle beatitudini vi siano creditori e debitori. Se ciò accade è perché al suo interno esistono dei pseudo-discepoli che non hanno accolto la condizione posta da Gesù: “Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 15,32). Il Signore esclude categoricamente che nella comunità dei credenti possano entrare dei ricchi . La comunità di Gesù, il Signore, è composta tutta da signori, ma non da ricchi. “Signore” è colui che dà, il ricco è colui che ha. Tutti possono dare generosamente, meno i ricchi, che sono tali appunto perché non sono generosi .
Un cuor solo?
Molte comunità religiose hanno preso come modello di vita la primitiva comunità giudeo-credente descritta da Luca negli Atti: “Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno… Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito ai singoli secondo il bisogno di ciascuno” (At 2,44-45; 4, 34-35).
Secondo questo modello gli apostoli erano divenuti gli amministratori dei beni comunitari . Con il termine apostolo gli evangelisti non indicano tanto un titolo quanto una funzione, che è appunto quella di essere inviato, messaggero per un determinato compito . Gesù aveva chiamato i discepoli per inviarli “ad annunziare il regno di Dio” (Lc 9,2) ed essere suoi testimoni “fino agli estremi confini della terra” (At 1,8); e aveva chiesto loro di “non prendere nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro” (Lc 9,3) e di non stare con l’animo in ansia per il proprio sostentamento (Lc 12,29), dando così prova di fidarsi completamente dell’assistenza di quel Padre che dona queste cose ai suoi in sovrabbondanza (Lc 12,31). Ora questi discepoli si sono trasformati in sedentari amministratori della comunità ed esercitano un potere che viene unanimemente riconosciuto .
Gli inconvenienti di questo sistema economico emergono subito. Infatti, a Giuseppe, detto Barnaba, che vende i suoi averi consegnandoli ai piedi dei discepoli, l’evangelista contrappone una coppia, Anania e Saffira, che prudentemente consegna solo una parte del ricavato agli apostoli tenendo il resto per sé (At 5,1-11). Nel preciso momento in cui si è ricorsi ad amministratori dei beni della comunità è iniziata l’ipocrisia e la finzione.
Quella di Luca non è l’esaltazione di un modello, ma una severa critica dello stesso. La comunione di beni adottata dalla comunità giudeo-credente di Gerusalemme con la creazione di un’amministrazione centralizzata, fu un fallimento: due terzi della comunità (Anania e Safira contro Giuseppe Barnaba) ricorsero alla simulazione per sfuggire al controllo degli amministratori, portando così la comunità alla rovina.
Se l’ideale, vantato dalla comunità di Gerusalemme, era che “la moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune” (At 4,32), la realtà mostrava un volto diverso. Di fatto in questa comunità emergeranno subito gravi ingiustizie che faranno sorgere “un malcontento fra gli Ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana” (At 6,1). È evidente che non solo la comunione di beni non funzionava, ma ad esser emarginate erano proprio le categorie più deboli . Da questi elementi l’evangelista fa già presagire la fame e la povertà che questa comunità dovrà patire (At 11,28-29).
Un modello cristiano
La comunità giudeo-credente di Gerusalemme, almeno inizialmente, ha mostrato di non aver compreso la radicalità assoluta che esige il messaggio del Cristo e si è conformata alle istituzioni religiose giudaiche, “godendo del favore di tutto il popolo” (At 2,47). Quello di Luca non è un benemerito attestato alla comunità di Gerusalemme, ma una denuncia del suo comportamento. Questa comunità non gode del favore di Dio, ma di tutto il popolo, dimentica del monito di Gesù: “Ahi a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti” (Lc 6,26).
Nonostante Gesù avesse dichiarato il Tempio “un covo di ladri” (Lc 19,45), e ne avesse annunciato la totale distruzione (Lc 21,5), la comunità giudeo-credente di Gerusalemme continua a crederlo un’istituzione ancora valida e seguita a frequentarlo . È sorprendente leggere che di questa comunità fanno parte persino i farisei (At 15,5), i pii osservanti che hanno considerato Gesù un bestemmiatore (Lc 5,21.30), farisei che non sembrano minimamente sfiorati dalla novità portata da Gesù e continuano a imporre la circoncisione e altre pratiche religiose (At 15,1.5). A Gerusalemme la Legge, che Gesù ha ignorato e trasgredito , viene ancora creduta valida, come dichiarerà Giacomo a Paolo: “Tu vedi, fratello, quante migliaia di Giudei sono venuti alla fede e tutti sono osservanti della Legge” (At 21,20).
Ma c’è un’altra comunità, nata in terra pagana per opera di evangelizzatori provenienti dal mondo e dalla cultura greca, non vincolati dai nazionalismi dei discepoli di Gerusalemme, che “non proclamavano la Parola a nessuno fuorché ai Giudei” (At 11,19), i quali iniziano ad annunziare il vangelo anche ai pagani: “Alcuni di loro, cittadini di Cipro e di Cirene, giunti ad Antiòchia, cominciarono a parlare anche ai Greci, annunziando la buona notizia del Signore Gesù” (At 11,20).
E qui, in terra pagana, accade un fatto insperato: “E la mano del Signore era con loro e così un gran numero credette e si convertì al Signore” (At11,21). La “mano del Signore” è un segno di benedizione (At 4,30; 11,21), espressione dell’azione divina che accompagna e benedice l’attività degli evangelizzatori, e il risultato è che “ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati Cristiani” (At 11,26). Il Signore potenzia l’attività degli evangelizzatori perché questi realizzano il suo progetto d’amore universale dal quale nessuno è escluso.
Luca contrappone due comunità, quella di Gerusalemme, legata alle istituzioni religiose giudaiche, e quella sorta in terra pagana, ad Antiòchia, dove i credenti, per la prima volta, non sono più considerati una delle tante sette giudaiche, ma qualcosa di nuovo: seguaci del Cristo. La mano del Signore è su Antiòchia e non a Gerusalemme. Una volta che il messaggio di Gesù è stato liberato dalla camicia di forza della Legge e delle tradizioni religiose, lo Spirito ha potuto portare frutto abbondante.
Mentre ad Antiòchia i discepoli vengono riconosciuti come Cristiani, si viene a sapere che sarebbe “scoppiata una grave carestia su tutta la terra, ciò che di fatto avvenne sotto l’impero di Claudio” (At 11,27-28) . La reazione dei cristiani antiocheni all’annuncio della carestia, che avrebbe colpito anche loro (“su tutta la terra”), è esemplare. Anziché pensare a se stessi si preoccupano subito di soccorrere i fratelli “abitanti nella Giudea” (At 11,29). Gli antiocheni, che hanno accolto la buona notizia, credono nelle parole di Gesù , e hanno completa fiducia nel Padre che conosce ciò di cui la comunità ha bisogno (Lc 12,30-31).
Mentre a Gerusalemme i credenti non possiedono nulla, tutto è in comune, e si trovano nell’indigenza, ad Antiochia il modello di comunità è differente. Qui i credenti possiedono e decidono, in piena libertà, di donare l’aiuto ai fratelli Giudei: “I discepoli si accordarono, ciascuno secondo quello che possedeva, di mandare un soccorso ai fratelli abitanti in Giudea” (At 11,29).
Dalla necessità di soccorrere la comunità giudeo-credente di Gerusalemme, dove la colletta verrà inviata (At 21,17), si vede che la tanto esaltata comunione dei beni non ha dato alcun risultato positivo. Questa comunità, che si vantava che nessuno dei componenti “tra loro era bisognoso” (At 4, 34), in realtà ha avuto bisogno di “una colletta a favore dei poveri che sono nella comunità di Gerusalemme” (Rm 15,26).
Criticando con tanta severità la comunità di Gerusalemme, centrata nella comunione dei beni attraverso la capitalizzazione comunitaria degli stessi, l’evangelista pone in evidenza quale è l’atteggiamento conforme al messaggio di Gesù: la comunicazione libera e responsabile dei propri beni, senza necessità di amministratori o di controlli interni o di imposizioni (tasse e decime), senza preoccuparsi delle proprie necessità ma di quelle degli altri.
La dipendenza economica mantiene le persone in uno stato infantile, la responsabile gestione dei propri beni è segno di maturità e dell’età adulta. Mentre la persona infantile è centrata sui propri bisogni, la caratteristica della persona adulta e matura è di occuparsi degli altri.
Laddove c’è libertà c’è lo Spirito (2 Cor 3,17) che spinge gli uomini a liberarsi dall’egoismo e dal pensare alle proprie necessità per aprirsi ai bisogni e alle necessità degli altri, in sintonia con la generosità della creazione.
I fedeli di Gerusalemme e quelli di Antiochia credono nello stesso Signore, ma sono riconosciuti come cristiani solo quelli di Antiochia, gli unici che, anziché pensare a se stessi, si preoccupano per gli altri.
Alberto Maggi

sábado, 11 de outubro de 2014

As eleições atuais à luz da história antipovo

As eleições atuais à luz da história antipovo

11/10/2014

Nada melhor do que ler as atuais eleições à luz da história brasileira na tensão entre as elites e o povo. Valho-me da uma contribuição de um sério historiador com formação em Roma, em Lovaina e na USP de São Paulo o Pe. José Oscar Beozzo, uma das inteligências mais brilhantes de nosso clero.
Diz Beozzo: “a questão de fundo em nossa sociedade é a do direito dos pequenos à vida sempre ameaçada pela abissal desigualdade de acesso aos meios de vida e pelas exíguas oportunidades abertas às grandes maiorias do andar debaixo.
Como nos ensina Caio Prado Júnior, nossa sociedade desigual repousa sobre quatro pilares difíceis de serem movidos: a) a grande propriedade da terra concentrada nas mãos de poucos de tal modo que não haja terra “livre” e “disponível” para quem trabalha ou para os que eram seus donos originários; b) o predomínio da monocultura; c) a produção voltada para o mercado externo (açúcar, tabaco, algodão, café e hoje soja; d) o regime de trabalho escravo.
A independência de Portugal não alterou nenhum destes pilares. Os que naquela época sonharam com um Brasil diferente, propunham a troca da grande pela pequena propriedade nas mãos de quem trabalhava; da monocultura para a policultura; da produção para o mercado internacional por outra voltada para o autoconsumo e para o abastecimento do mercado interno; do trabalho escravo pelo trabalho familiar livre. Isso pôde acontecer em quenas regiões da serra gaúcha e de Santa Catarina, com colonos alemães, italianos, poloneses, hoje um campo mais democratizado.
Houve geral oposição dos grandes proprietários escravistas a qualquer dessas medidas e foram matados a ferro e fogo levantes populares que apontavam para qualquer medida democratizante na economia, na política e sobretudo nas relações de trabalho. Basta rememorar algumas dessas revoltas: a insurreição dos escravos Malês na Bahia, a Balaiada no Maranhão, a Cabanagem na Amazônia, a revolução Praieira em Pernambuco, a Farroupilha no Sul.
A monarquia caiu menos por seus anacronismos do que pela Lei Áurea que lhe retirou o apoio dos barões do café escravocratas e das chamadas classes “produtoras”, como se os produtores não fossem os escravos que trabalhavam.
A revolução de 30, com seu viés nacionalista, mesmo que parcialmente, deslocou o eixo do país do mercado externo para o interno; do modelo agrário exportador para o de substituição de importações; do domínio das elites exportadoras do café do pacto Minas/São Paulo, para novas lideranças das zonas de produção para o mercado interno, como as do arroz e charque do Rio Grande do Sul; do voto censitário, para o voto “universal” (menos para os analfabetos, naquela época ainda maioria entre os adultos), do voto exclusivamente masculino para o voto feminino; das relações de trabalho ditadas apenas pelo poder dos patrões para a sua regulação, pelo menos na esfera industrial com a criação do Ministério do Trabalho e das leis trabalhistas voltadas para a classe operária . Não se conseguiu tocar o domínio incontornável dos proprietários de terra na regulação das relações de trabalho dentro de suas propriedades, o que só vai acontecer depois de 1964.
Getúlio implantou uma política corporativista de apaziguamento entre as classes e de “cooperação” entre capital e trabalho, entre operários e os capitães da indústria em torno de um projeto de industrialização e defesa dos interesses nacionais. Ele criou as bases para o Brasil moderno.
Nesta campanha eleitoral certos meios de comunicação criaram o motto: “Fora PT”. Busca-se acabar com a “ditadura” do PT, para deixar campo livre para instaurar a “ditadura do mercado financeiro”. O que realmente incomoda? A corrupção e o mensalão?
A meu ver, o que incomoda, em que pesem todos seus limites, são as medidas democratizantes como o Pro-Uni, as cotas nas universidades para os estudantes vindos da escola pública e não dos colégios particulares; as cotas para aqueles cujos avós vieram dos porões da escravidão; a reforma agrária, ainda que muito aquém de tudo o que seria necessário, como sempre nos lembrou Dom Tomás Balduino; a demarcação e homologação em área contínua da terra Yanomami contra a grita de meia dúzia de arrozeiros apoiados pelo coro unânime dos latifundiários e do agronegócio, assim como todos os programas sociais do Bolsa Família, ao Luz para Todos, ao Minha Casa, minha Vida, o Mais Médicos e daí para frente.
Nunca incomodou a estes críticos que o Estado pagasse o estudo de jovens estudantes de famílias ricas que deram a seus filhos boa educação em escolas particulares, o que lhes franqueou o acesso ao ensino gratuito nas universidades públicas aprofundando e consolidando a desigualdade de oportunidades. Esse estudo custa mensalmente ao Estado no caso de cursos como o de Medicina de seis a sete mil reais. Nunca protestaram essas famílias contra essa “bolsa-esmola” dada aos ricos, e que é vista como “direito” devido a seus méritos e não como puro e escandaloso privilégio. São os mesmos que se recusam a ser médicos nos interiores e nas periferias que não dispõem de um médico sequer.
Os que sobem o tom dizendo que tudo no país está errado, em que pese a melhoria do salário mínimo, a criação de milhões de empregos, a ampliação das políticas sociais em direção aos mais pobres, a criação do Mais-Médicos, posicionam-se contra as políticas do PT que visam a assegurar direitos cidadãos, ampliar a democratização da sociedade, combater privilégios e sobretudo colocar um pouco de freio (insuficiente a meu ver) à ganância e à ditadura do capital financeiro e do “mercado”.
É esta a razão do meu voto para outro projeto de país, que atende às demandas sempre negadas às grandes maiorias. É por isso, que votei Dilma no primeiro e o farei no segundo turno, respeitando as ponderações e escolhas dos que enxergam um caminho diferente e viável para o momento atual” (jbeozzo@terra.com.br). É esse também o meu pensamento.

DADOS GOVERNOS FHC/PSDB E LULA-DILMA/PT POR HILDEGARD ANGEL, jornalista

DADOS GOVERNOS FHC/PSDB E LULA-DILMA/PT POR HILDEGARD ANGEL, jornalista

11/10/2014

Com a eventual vitória de Aécio Neves, voltará em cheio o projeto neoliberal que não deu certo nem aqui nem nos países centrasis com uma crise abissal e 102 milhões de desempregados. O futuro ministro da Fazenda Arminio Fraga já sinalizou para onde vai a direção do Governo ao dizer: “dos bancos públicos (Banco do Brasil, Caixa Econômica e BNDS) com as correções a serem feitas, vai sobrar pouca coisa”; e disse algo assustador para quem vive de salário:”os salários estão altos demais”; há que rebaixá-los. Cada umm vota conforme sua preferência, mas pense antes nas consequências globais para o país e para quem mais precisa de meios para viver que são as grandes maiorias pobres: Lboff
Sobre o segundo turno das eleições presidenciais (Por que a grande imprensa brasileira nunca publicou esses dados com destaque?)
Comparando o Brasil de 2002 (Fernando Henrique Cardoso) ao de 2013 (Lula/ Dilma)… segundo a OMS, a ONU, o Banco Mundial, o IBGE, o Unicef etc…
Publicado em 15/09/2014 > http://www.hildegardangel.com.br/?p=41715
Leiam e tirem as suas próprias conclusões….
1. Produto Interno Bruto:
2002 – R$ 1,48 trilhões
2013 – R$ 4,84 trilhões
2. PIB per capita:
2002 – R$ 7,6 mil
2013 – R$ 24,1 mil
3. Dívida líquida do setor público:
2002 – 60% do PIB
2013 – 34% do PIB
4. Lucro do BNDES:
2002 – R$ 550 milhões
2013 – R$ 8,15 bilhões
5. Lucro do Banco do Brasil:
2002 – R$ 2 bilhões
2013 – R$ 15,8 bilhões
6. Lucro da Caixa Econômica Federal:
2002 – R$ 1,1 bilhões
2013 – R$ 6,7 bilhões
7. Produção de veículos:
2002 – 1,8 milhões
2013 – 3,7 milhões
8. Safra Agrícola:
2002 – 97 milhões de toneladas
2013 – 188 milhões de toneladas
9. Investimento Estrangeiro Direto:
2002 – 16,6 bilhões de dólares
2013 – 64 bilhões de dólares
10. Reservas Internacionais:
2002 – 37 bilhões de dólares
2013 – 375,8 bilhões de dólares
11. Índice Bovespa:
2002 – 11.268 pontos
2013 – 51.507 pontos
12. Empregos Gerados:
Governo FHC – 627 mil/ano
Governos Lula e Dilma – 1,79 milhões/ano
13. Taxa de Desemprego:
2002 – 12,2%
2013 – 5,4%
14. Valor de Mercado da Petrobras:
2002 – R$ 15,5 bilhões
2014 – R$ 104,9 bilhões
15. Lucro médio da Petrobras:
Governo FHC – R$ 4,2 bilhões/ano
Governos Lula e Dilma – R$ 25,6 bilhões/ano
16. Falências Requeridas em Média/ano:
Governo FHC – 25.587
Governos Lula e Dilma – 5.795
17. Salário Mínimo:
2002 – R$ 200 (1,42 cestas básicas)
2014 – R$ 724 (2,24 cestas básicas)
18. Dívida Externa em Relação às Reservas:
2002 – 557%
2014 – 81%
19. Posição entre as Economias do Mundo:
2002 – 13ª
2014 – 7ª
20. PROUNI – 1,2 milhões de bolsas
21. Salário Mínimo Convertido em Dólares:
2002 – 86,21
2014 – 305,00
22. Passagens Aéreas Vendidas:
2002 – 33 milhões
2013 – 100 milhões
23. Exportações:
2002 – 60,3 bilhões de dólares
2013 – 242 bilhões de dólares
24. Inflação Anual Média:
Governo FHC – 9,1%
Governos Lula e Dilma – 5,8%
25. PRONATEC – 6 Milhões de pessoas
26. Taxa Selic:
2002 – 18,9%
2012 – 8,5%
27. FIES – 1,3 milhões de pessoas com financiamento universitário
28. Minha Casa Minha Vida – 1,5 milhões de famílias beneficiadas
29. Luz Para Todos – 9,5 milhões de pessoas beneficiadas
30. Capacidade Energética:
2001 – 74.800 MW
2013 – 122.900 MW
31. Criação de 6.427 creches
32. Ciência Sem Fronteiras – 100 mil beneficiados
33. Mais Médicos (Aproximadamente 14 mil novos profissionais): 50 milhões de beneficiados
34. Brasil Sem Miséria – Retirou 22 milhões da extrema pobreza
35. Criação de Universidades Federais:
Governos Lula e Dilma – 18
Governo FHC – zero
36. Criação de Escolas Técnicas:
Governos Lula e Dilma – 214
Governo FHC – 0
De 1500 até 1994 – 140
37. Desigualdade Social:
Governo FHC – Queda de 2,2%
Governo PT – Queda de 11,4%
38. Produtividade:
Governo FHC – Aumento de 0,3%
Governos Lula e Dilma – Aumento de 13,2%
39. Taxa de Pobreza:
2002 – 34%
2012 – 15%
40. Taxa de Extrema Pobreza:
2003 – 15%
2012 – 5,2%
41. Índice de Desenvolvimento Humano:
2000 – 0,669
2005 – 0,699
2012 – 0,730
42. Mortalidade Infantil:
2002 – 25,3 em 1000 nascidos vivos
2012 – 12,9 em 1000 nascidos vivos
43. Gastos Públicos em Saúde:
2002 – R$ 28 bilhões
2013 – R$ 106 bilhões
44. Gastos Públicos em Educação:
2002 – R$ 17 bilhões
2013 – R$ 94 bilhões
45. Estudantes no Ensino Superior:
2003 – 583.800
2012 – 1.087.400
46. Risco Brasil (IPEA):
2002 – 1.446
2013 – 224
47. Operações da Polícia Federal:
Governo FHC – 48
Governo PT – 1.273 (15 mil presos)
48. Varas da Justiça Federal:
2003 – 100
2010 – 513
49. 38 milhões de pessoas ascenderam à Nova Classe Média (Classe C)
50. 42 milhões de pessoas saíram da miséria
FONTES:
47/48 – http://www.dpf.gov.br/agencia/estatisticas
39/40 – http://www.washingtonpost.com
42 – OMS, Unicef, Banco Mundial e ONU
37 – índice de GINI: http://www.ipeadata.gov.br
45 – Ministério da Educação
13 – IBGE
26 – Banco Mundial
Notícias, Informações e Debates sobre o Desenvolvimento do Brasil: http://www.desenvolvimentistas.com.br

sexta-feira, 10 de outubro de 2014

Os impostores do Ministério da Ordem

Os impostores do Ministério da Ordem

O meu amigo, Pe. José Antônio, do clero da arquidiocese de Mariana (MG), com quem tive a grata satisfação de trabalhar no Setor Vocações e Ministérios da CNBB (1999-2003), em recente artigo divulgado na internet, levantava a pergunta acerca do principal medo do papa Francisco. A pergunta poderia ser muito bem invertida para evidenciar quais são as pessoas que, na Igreja Católica, mais temem as audaciosas propostas de renovação apresentadas pelo papa Francisco, e que, a meu ver, estão condensadas na sua exortação Evangelli Gaudium. Quem, na Igreja Romana, teria medo de propostas como esta: “Convido todos a serem ousados e criativos nesta tarefa de repensar os objetivos, as estruturas, o estilo e os métodos evangelizadores das respectivas comunidades” (EG, 33)?
Com certeza estariam em primeiro lugar os grupos católicos ultraconservadores, bem representados pela Fraternidade São Pio V, fundada pelo bispo cismático Lefebvre. Porém, os conservadores católicos não causam tanto medo ao papa e nem o papa lhes provoca medo. Reagir a toda mudança na Igreja está no DNA desses grupos, os quais acreditam piamente que o único modelo histórico de Igreja é aquele construído a partir do Concílio de Trento, ou, pior ainda, a partir do espírito da Contrarreforma.
Quem, então, causaria medo ao papa Francisco, ou, melhor dizendo, quem tem medo das propostas do papa Francisco? Pe. José Antônio, sem rodeios, afirma que é o “clero camaleônico”, ou seja, aqueles padres que vendo o ministério ordenado como status, como profissão bastante rentável, como pedestal para a fama e o sucesso, temem um papa que insiste em dizer que o ministério ordenado é serviço e que os padres precisam “sentir o cheiro das ovelhas”.
Prosseguindo em sua reflexão, o Pe. José Antônio alerta para um particular assustador: a quase totalidade desse “clero camaleônico” é formada por padres jovens e por seminaristas, futuros padres, que já se comportam como se fossem ministros ordenados. É assustador porque era de se esperar que padres jovens e seminaristas, formados depois do Concílio Vaticano II, fossem capazes de acolher com entusiasmo e paixão a proposta de renovação da Igreja apresentada pelo papa Francisco. Mas não é isso que estamos vendo. Boa parte deste clero permanece indiferente ao que o papa Francisco vem dizendo. Sinal claro dessa indiferença é a falta de divulgação, de conhecimento, de estudo e de aplicação pastoral da exortação Evangelli Gaudium. Pude constatar isso pessoalmente em recente assessoria a um grupo numeroso de pessoas, na sua quase totalidade formada por leigos, sobre a exortação papal. A queixa geral era de que os padres não falam da Evangelli Gaudium. Constatou-se inclusive o caso de padres que nem sequer sabiam da existência da exortação. Há poucos dias uma senhora de uma paróquia do interior da Bahia perguntava ao jovem pároco de sua cidade porque na sacristia da igreja paroquial ainda não tinha sido colocada a fotografia do papa Francisco. Queria saber porque tudo tinha parado na foto do papa Bento XVI. O pároco respondeu-lhe que a razão era o fato de que os vidraceiros da cidade estavam sem moldura. Conversa essa que não colou, pois a senhora, do alto da sua experiência de idosa, percebeu que o pároco estava mentindo.
Mas há também aquele grupo de padres e de seminaristas que faz de conta que acolhe as propostas do papa Francisco. Age, porém, como camaleão, por mero oportunismo e para continuar levando vantagem em tudo, visando não perder as benesses oferecidas pelo acesso ao ministério ordenado. Este grupo de clericais externamente faz de conta que aderiu ao papa Francisco, mas, na prática, sempre que pode, oculta, desvirtua e desvia os ensinamentos papais, não permitindo que o povo tome conhecimento daquilo que o papa Francisco está propondo com certa insistência.
Diante do que acabamos de expor vem de imediato a pergunta: o que leva padres e seminaristas a agir desta forma? Por que temem o papa Francisco? Por que agem com indiferença ou fazendo de conta que acolhem a palavra do bispo de Roma?
Inúmeros estudos publicados nos últimos anos explicam de modo suficiente este problema. São estudos com dados incontestáveis, baseados em pesquisas sérias. A própria Conferência Nacional dos Bispos do Brasil (CNBB), a Organização dos Seminários e Institutos do Brasil (OSIB) e a Comissão Nacional de Presbíteros (CNP) patrocinaram alguns desses estudos,
Duas causas estariam por trás desse comportamento. A primeira delas é a visão de vocação presbiteral como sendo a vocação por excelência. Ser padre é “dez”, é estar acima de qualquer coisa. Chegar a ser padre é colocar-se acima de tudo e de todos os mortais. A segunda causa seria o desejo das dioceses de suprir a falta de padres, levando-as a admitir nos seminários e no presbitério verdadeiros impostores que olham para o ministério ordenado como a forma mais fácil de adquirir poder, status, fama e dinheiro. A tais pessoas não lhes importa o serviço ao povo, mas as vantagens que vão ter com o acesso ao ministério ordenado.
A filósofa, socióloga e teóloga Arlene Denise Bacarji realizou recentemente um estudo sobre essa questão, baseando-se em dados de pesquisas feitas em diversas partes do mundo por eminentes pesquisadores. O próprio título do seu estudo é, por si mesmo, bem sugestivo: A impostura no Ministério da Ordem. Transtornos de personalidade e perversão no Clero à luz da psicanálise e da psiquiatria. O estudo acaba de ser publicado pessoalmente pela autora. É lamentável que ela não tenha encontrado uma editora católica capaz de assumir a publicação, obrigando-a a fazer uma edição privada. Essa recusa não deixa de trazer um grande prejuízo para a própria Igreja Católica.
Em seu estudo, depois de analisar a origem do problema da impostura no Ministério da Ordem, a autora se detém cuidadosamente na reflexão sobre os transtornos e as perversões dentro dos quadros da Igreja, particularmente entre o clero. Fala dos desvios institucionais, de personalidade antissocial, narcisista patológica e sobre as perversões propriamente ditas. No final aponta algumas possibilidades de saída do impasse.
Arlene Bacarji mostra como a natureza hierárquica, uma falsa compreensão da misericórdia, a segurança que o ministério ordenado proporciona e o celibato visto como um modo de não se relacionar em profundidade com ninguém atraem com muita facilidade pessoas com transtorno de personalidade e muita gente perversa. A pessoa com essas patologias “sempre consegue um bispo desavisado, misericordioso, confiante em sua remissão, que o acolherá” (p. 36). Bacarji lembra que o sistema eclesiástico favorece tais pessoas, uma vez que “elas aprendem rapidamente como subir em postos de poder, como fazer para serem elevados a bispos, cardeais” (p. 43).
A autora apresenta o perfil do impostor no Ministério da Ordem: “O poder, o brilho, o sucesso, só dependem de sua eloquência no altar, de sua capacidade de sedução e poder de atração, e de sua capacidade retórica, persuasão, de introjetar os sentimentos e emoções na sua fala de modo que impressione o público, para que seja admirado, endeusado e adorado. O altar se torna um palco. Pois a oficialização desse poder já está dada. A impostura no Ministério da Ordem por estas personalidades todas que tratamos neste livro se caracteriza pela grandessíssima capacidade da pessoa de fazer ‘teatro’. Elas representam muito bem” (p. 43). E representam tão bem que são capazes de camuflar a aversão ao papa Francisco e ao que ele propõe, bastando para tanto apenas um “discurso bonito” (p. 44), ou seja, aquele discurso lacunar, através do qual a pessoa fala um monte de baboseira que seduz os desprovidos de senso crítico, mas que não diz absolutamente nada.
O que fazer? Existem saídas? É claro que sim. O problema é saber se os bispos estão dispostos a coloca-las em prática. Eu aponto pelo menos três. A primeira delas é desmistificar a figura do padre, retirando dele toda auréola sacral que o envolve. Apresentá-lo como um homem comum, normal, igual aos outros, chamado por Deus a ser diákonos, ou seja, mero servidor dos demais. Homem sinal sacramental de Cristo servo de todos, que veio para servir e não para ser servido (Mc 10,35-45). Nessa perspectiva o acento deve ser colocado sobre avocação comum batismal, como nos lembrou o Vaticano II na Lumen Gentium. O importante não é ser padre, mas discípulo, seguidor de Jesus, missionário, como enfatiza diversas vezes o Documento de Aparecida.
Uma segunda saída seria a revisão do atual modelo de ministério ordenado, focado excessivamente no padre celibatário que passa entre oito e nove anos no seminário e que sai de lá bastante treinado para ser “aparentemente normal”, mas que, na prática, é uma pessoa cindida, tendendo para a mentira crônica (Bacarji, p. 45-64). Não há como resolver o problema da impostura no ministério ordenado enquanto não se fizer uma reforma séria no ministério ordenado, incluindo nele novas formas de ministérios que descentralizem o poder e quebrem o monopólio e o autoritarismo dos padres.
A terceira proposta de saída é a mudança de comportamento com relação a essas pessoas. Bacarji lembra “que Cristo e o Evangelho não são tolerantes com a hipocrisia e com a falsidade” (p. 45). Por isso, ela afirma que “a misericórdia com estas pessoas deve ser pensada em outros moldes que não a habitual. Talvez seja mais misericordioso impedi-las de terem oportunidade de vivenciar suas perversões e patologias anti-sociais ou narcisistas, fazendo mal às pessoas da Igreja, à própria Igreja, a Deus e a si” (p. 67). Isso significa que a formação inicial dos candidatos aos ministérios ordenados precisa ser mais séria, capaz de identificar possíveis impostores e impedindo-os de chegar à ordenação. Mas para isso é preciso que à frente dos seminários estejam pessoas equilibradas e não seres transtornados e perversos.
Por fim, é preciso dizer que a maioria dos padres é formada por homens honestos, sérios, simples e inteiramente doados ao povo. E isso é uma grande consolação. Mas, na maioria das vezes, esses padres não são valorizados, não são apresentados pela mídia católica, sendo sobrepujados pelos impostores, geralmente midiáticos e “carismáticos” que se apresentam ao povo como os únicos modelos de presbíteros. Com isso o estrago está feito, pois o povo, iludido por “lobos vestidos com peles de ovelhas” (Mt 7,15), acaba deixando-se seduzir. “As batinas, hábitos, clergyman, para estas pessoas, representam poder e também especialidade em relação aos outros mortais, por isso muitos deles fazem questão dessas coisas já desde o seminário” (Bacarji, p. 62). Precisamos, pois, estar muito atentos, pois a impostura no ministério ordenado “costuma confundir muitos superiores e a todos nós” (Ibid., p. 70).

 José Lisboa Moreira de Oliveira


quarta-feira, 8 de outubro de 2014

João Pedro Stédile: O fim de um ciclo e a necessidade de avançar

João Pedro Stédile: O fim de um ciclo e a necessidade de avançar

07/10/2014

O gaúcho João Pedro Stédile, 60 anos, um dos fundadores e principal dirigente do Movimento dos Trabalhadores Sem Terra (MST), é umas lideranças populares mais lúcidas do país. Sempre apoiou o PT mas nunca renunciou à crítica pertinente e por vezes severa. Mas não entrega as conquistas históricas que o povo logrou nos últimos anos, e pela primeira vez na história, às classes dominantes. Por exemplo se pergunta: como é possível conceber um partido que tem 800 mil filiados, mas não tem cursos de formação política, não tem sequer um jornal nacional que oriente o debate e a militância? Vale a pena ler a entrevista que concedeu a Carta Maior de 2/10/2014. Sinto afinidade com suas ideias e propostas, embora daria mais acento à ideia da democracia social, participativa e sem fim: LBoff



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O MST tem se posicionado criticamente em relação ao governo, sobretudo na questão agrária, mas não só. Em quem você vai votar no domingo?

StédileVou votar na Dilma, no Tarso Genro, no Olívio Dutra e nos candidatos a deputado que o MST apoia no Rio Grande do Sul. Eu e a ampla maioria do povo brasileiro queremos, no entanto, mudanças. Mudanças para melhorar as condições de vida do povo. O neodesenvolvimentismo praticado até agora foi importante para barrar o neoliberalismo e gerar uma transição. Resgatou-se o papel do Estado e o crescimento com distribuição da renda. Porém, essa política se esgotou, tanto é que vários setores da burguesia agora estão na oposição. E se esgotou também por conta da conjuntura econômica internacional. O próximo mandato precisa fazer mudanças estruturais, que alterem a política econômica e com ela o superávit primário e a matriz tributária. São requisitos para canalizar recursos necessários aos 10% do PIB na educação, à saúde, moradia, reforma agrária e aos pesados investimentos em transporte público de qualidade, que a população cobra. No campo político, é necessário convocar uma assembleia constituinte. É o único caminho para uma profunda reforma no sistema política. Queremos mudanças também na forma de conduzir a política agrícola e agrária. Se o governo Dilma não tiver forças para caminhar nessa direção teremos quatro anos de instabilidade politica. O povo voltará as ruas.

Por que, em sua opinião, os governos do PT não cumpriram integralmente as agendas e compromissos firmados com os movimentos sociais?



Stédile– Bem, em primeiro lugar, não considero os governos Lula e Dilma do PT, propriamente. Foram governos de composição de classes, em que estavam todas as classes sociais, desde o banqueiro Meireles, até os mais pobres do Bolsa Família. Em termos partidários houve uma coalização com mais de dez partidos, com o eterno peso conservador do PMDB e demais oportunistas. Por outro lado, foram governos que ainda viveram um período histórico de refluxo dos movimentos massas, derrotados política e ideologicamente na década de 80, e que não conseguiram ainda retomar a ofensiva da luta nas ruas. E por fim, o PT como maior partido da esquerda, com toda sua influencia nas massas e nas organizações populares, abdicou de seu papel de organizador político, renunciou ao dever de formador ideológico, resignou-se ao medíocre papel de disputar cargos públicos. Por isso, esclerosou-se ideologicamente. Esperamos que no próximo período haja uma retomada do movimento de massas. As mobilizações de junho já foram um sinal de alerta. E o plebiscito pela Constituinte da reforma política, com quase oito milhões de eleitores participando, outro.

Diante da frente única conservadora – que por um momento parecia levar Marina à vitória contra Dilma– o PT mudou seu discurso. Em SP, em um balanço da campanha, no dia 5 de setembro, Lula disse que era preciso demarcar o campo de classe da eleição. É um sinal de mudança também?

Stédile–A candidatura Dilma teve a sorte de que a burguesia se dividiu: parte a apoia; parte ao Aécio e parte a Marina. Eles não encontraram uma liderança que pudesse expressar a vontade de mudanças da ótica da direita. Nem Aécio, nem Marina expressam isso. As campanhas eleitorais foram sequestradas pelo financiamento das empresas e pela lógica dos marqueiteiros. Isso tirou o povo da disputa real. Pior: tirou a possibilidade de debate real sobre os problemas do país. Virou uma disputa de marqueteiro. As pessoas que estão na rua com propaganda o fazem por DINHEIRO. É emprego, não convicção. É mais uma evidência da crise de participação e representação. Creio que Lula, porém, que ainda é a maior liderança popular que temos, percebeu isso, e foi o grande destaque dos comícios e intervenções nessa campanha, porque fez a leitura da situação da luta de classes, e defendeu a necessidade de uma assembleia constituinte para fazer uma profunda reforma política, que recoloque o povo, a militância e a luta por ideias e projetos no centro da disputa.

O peso da correlação de forças explica, em parte, o engessamento de muitas bandeiras progressistas. Por que em 12 anos de governos progressistas não se conseguiu mudar essa correlação de forças?

Stédile– Por vários fatores conjugados. A derrota de 89, a hegemonia do neoliberalismo e império onipotente dos Estados Unidos, impuseram uma derrota política, econômica e ideológica a toda classe trabalhadora no mundo. Essas derrotas, em geral demoram uma geração para que a classe entenda, amadureça e volte a tomar iniciativa da luta. O processo de desindustrialização de nossa economia, por outro lado, quebrou a espinha da classe operária industrial, que era nosso setor mais organizado, mais forte e mais politizado, no qual Lula e o PT foram gerados. Estamos ainda vivendo uma crise ideológica na esquerda mundial. Falta-nos um projeto claro de transição do capitalismo para o socialismo. Isso tudo dificulta a construção de processos unitários e de programas de curto prazo para as forças populares, que mudem a correlação de forças. E por fim, porque o PT, sendo o maior partido de esquerda, como disse, não conseguiu levar adiante a formação política e a disputa ideológica entre seus militantes e na sociedade. Não se pode conceber que um partido que tenha 800 mil filiados, não tenha cursos de formação política, não tenha sequer um jornal nacional que oriente e debata com a militância política

Em que medida o monólogo conservador da mídia interdita essa mudança na correlação de força

?

Stédile-- A burguesia faz sua parte para manter a hegemonia econômica, política e ideológica na sociedade. Ela não fica esperando por nós. Para isso, controla e opera três instrumentos políticos simultaneamente. Em primeiro lugar, tem o controle absoluto do poder judiciário –basta ver o comportamento do STF no processo AP 470, ou a desfaçatez de juízes que se atribuem um auxílio moradia de 4.600, reais por mês, ao mesmo tempo em que não hesitam em autorizar ações de despejo contra todas ocupações dos que lutam pelo direito à habitação . Em segundo lugar, controla o parlamento, cada vez mais refém das 117 empresas que financiam 90% das campanhas dos candidatos nesse país. Transformaram o parlamento num balcão de negócios e trincheira de ideias conversadoras para a destruição dos direitos conquistados desde 1988, na Constituinte. E por último, controla de forma absoluta os meios de comunicação de massa. A Globo é hoje o principal partido ideológico da burguesia brasileira. É ela que exerce o papel de orientador político e de formação ideológica das massas, com as ideias da burguesia. Por isso é fundamental uma reforma política ampla e profunda, que envolva não só a forma de eleger os candidatos ao governo e ao parlamento.
Mas também o papel do poder do judiciário e a democratização dos meios de comunicação. Sem isso não teremos democracia. Nem a burguesa!

Diante da fragilidade de suas apostas eleitorais, o conservadorismo já faz baldeação para um outro comboio: a tese de que um ‘ajuste doloroso’ na economia será inevitável em 2015, ganhe que ganhar. Trata-se de uma tentativa de desossar um segundo governo Dilma por antecipação?



Stédile — A burguesia usará todas as armas que mencionamos para radicalizar a subordinação do Brasil à economia dos Estados Unidos, vale dizer, aos interesses dos bancos e das corporações internacionais. Querem o país como mero exportador de commodities, minerais, energéticas e agrícolas. Mas isso não gera empregos e nem desenvolve a economia. O pré-sal pode ter um papel, porém setorial. Nós, dos movimentos sociais, lutaremos para que haja mudança efetiva. Isso inclui mudar a política burra do superávit primário para pagar juros a 15 mil famílias, e redirecionar os recursos a investimentos produtivos, educação, saúde e transporte público. Precisamos de uma reforma tributária que inverta a matriz atual, que só penaliza os trabalhadores. O governo deve controlar a taxa de juros, não só a Selic, mas também as taxas impostas pelos bancos ao povo, que paga em média 48% de juros ao ano. E intervir no câmbio, para evitar que a indústria brasileira esfarele. Finalmente, é urgente revogar a lei Kandir. Essa é um absurdo.
 
Bilionárias exportações de commodities minerais, energéticas e agrícolas não pagam imposto no Brasil. Um DINHEIRO que poderia contribuir para investir em serviços públicos é legalmente sonegado à população. A Vale do Rio Doce, por exemplo, exportando bilhões e bilhões de toneladas de ferro e não paga nada de imposto. Somos o maior exportador de soja do mundo. E ninguém paga imposto! Na Argentina, os exportadores de soja pagam 40%. Como se vê, será um período de intensa disputa, em torno dos rumos da política econômica. E se a mudança frustrar o interesse dos trabalhadores, entraremos numa crise política grave.

O que você diria à juventude que hesita em votar em Dilma pelas razões discutidas acima?



Stédile –A juventude tem direito a ser desconfiada e votar em quem quiser. Há motivos para não acreditar até maiores do que para acreditar. Em função da conjuntura histórica exposta aqui, vivemos um período em que a juventude esteve ausente da política, e não pôde participar de nenhuma instituição. Nem na igreja, nem nos sindicatos, nem nos partidos. E muito menos nos governos, que só chamam as lideranças na hora em que a água ferve. Então, a juventude esta desanimada com a política institucional. É saudável. Se estivessem satisfeitos já estariam velhos e conservadores. Mas ela precisa participar da política de outra forma e mais intensa. Agora mesmo no mutirão do plebiscito pela Constituinte da reforma política, a condução do processo foi basicamente da juventude. Não basta, porém. Ela precisa se vincular às organizações da classe trabalhadora, para que juntos possamos construir um programa unitário de mudanças. Protesto é só o começo. Ele não constrói a mudança. A s mudanças virão de um programa unitário, que consiga aglutinar as forças organizadas do povo, da classe trabalhadora, tendo a juventude como participantes ativos. Nas eleições acho que a juventude vai ficar entre abstenção, voto nulo, voto na Dilma e na Luciana Genro. Percebo que a juventude que votou na Marina em 2010 desencantou-se com ela.

No documentário, ‘Em busca da terra sem veneno’, você aponta a necessidade de um aggiornamento da bandeira da reforma agrária. Que reforma agrária responde aos desafios do século XXI?

Stédile– No século passado, a reforma agrária respondia a uma necessidade de democratizar a propriedade da terra. A luta principal, portanto, era contra o latifúndio, em geral improdutivo. De um modo geral, esse programa de reforma clássico ocorreu no âmbito de governos burgueses nacionalistas. No Brasil, nunca conseguimos fazer esse tipo de reforma agrária. O mais próximo disso ocorreu na crise de 64, com a proposta de reforma do Celso Furtado- Goulart. O MST se desenvolveu com base nesse programa, de terra para quem nela trabalha.
 
Infelizmente, ele não se realizou no Brasil. Agora, com o capitalismo financeiro e as corporações transnacionais dominando a agricultura, a disputa não é apenas por terra. A disputa é pelo modelo de produção agrícola. A disputa é pelo destino dos recursos naturais. Precisamos mudar o modelo. Em primeiro lugar, para produzir alimentos sadios a toda sociedade. Comida sem veneno. Ao mesmo tempo, adotar a matriz tecnológica da agroecologia: produzir em equilíbrio com a natureza, sem destruir a biodiversidade que altera o meio ambiente e o clima. E precisamos organizar agroindústrias na forma cooperativa, para processar esses alimentos. Por isso, agora estamos diante de um novo modelo que chamamos de reforma agrária popular.

Essa é uma bandeira que não interessa apenas ao camponês, que antes queria apenas terra para trabalhar. Agora, as mudanças, interessam a todo povo. Interessa a quem não quer adoecer ou morrer de câncer por conta da ingestão de agrotóxico, que tem no Brasil o maior consumidor mundial. Interessa aos que sofrem na cidade, expulsos do campo; e aos que se preocupam com a desordem climática em curso, como o demonstra a falta de água em São Paulo. Esse será o futuro da agricultura, e na verdade, a única possibilidade de sobrevivermos.

Assista ao documentário ‘Em busca da terra sem veneno’ 



sexta-feira, 3 de outubro de 2014

Discernimento eleitoral

Dom Walmor Oliveira de Azevedo

Discernimento eleitoral

Dom Walmor Oliveira de Azevedo
Arcebispo de Belo Horizonte (MG)
A cidadania brasileira está desafiada, mais uma vez, a viver o necessário discernimento eleitoral, para fazer escolhas qualificadas no próximo domingo. Esse exercício é de fundamental importância, pois serão definidos nomes a ocuparem os cargos eletivos, todos estratégicos para a condução do país. Não é fácil esse processo de discernimento. A primeira e importante consideração, necessariamente, é sobre o perfil e a vida de cada candidato. É difícil encontrar um nome que reúna todos os itens apontados como indispensáveis para governar e representar bem o poder que pertence ao povo; e que a ele deve ser devolvido na forma de serviços. Os eleitos precisam ser pessoas capazes de reconhecer e atender aos anseios da população, particularmente dos mais pobres. Diante dos critérios a serem observados, constata-se que processo de qualificada escolha de candidatos é laborioso, mas isso não pode produzir desânimo.

Nas eleições, o povo tem a chance de compor um time que, embora possa não alcançar o patamar da seleção sonhada, seja capaz de produzir avanços na superação urgente de graves problemas, como as desigualdades sociais. Para isso, é preciso contrabalançar elementos - trajetória, consistências pessoais, força de liderança, lastro de representatividade. Essas qualidades, e muitas outras, precisam ser observadas e identificadas nas pessoas que se submetem ao sufrágio das urnas. Eleger políticos com perfil marcado pela articulação dessas características é contribuir para a composição de um quadro, nos governos e parlamentos, com mais lucidez no trato, defesa e promoção de tudo que é público.
Vale ressaltar que mediocridades são um veneno terrível que enterra definitivamente as aspirações do povo. Elas corroem instâncias de grande importância política e social, transformando-as em palcos de interesses partidários e de grupos. A partir da presença de pessoas desqualificadas, governos e parlamentos tornam-se marcados por uma visão míope das urgências da sociedade, agravada pela incapacidade de analisar, escolher e agir com rapidez. Não se pode permitir que um mandato de quatro anos torne-se tempo para o eleito “ciscar de cá prá lá e de lá prá cá”, obrigando o gigante que é esta nação a permanecer adormecido. Bom seria contar com uma série de nomes cuja dificuldade de escolha residisse na excelência dos muitos perfis, todos sem senões, com os elementos adequados da vida pessoal, social e política. Infelizmente não é assim.
Não se crê que o ambiente político partidário vigente consiga produzir essas excelências cidadãs. Ao contrário, talvez muitas vezes seduza em direção inadequada aqueles que poderiam construir uma trajetória brilhante no mundo da política. Mas a sabedoria popular ensina que “não adianta chorar o leite derramado”. Providências significativas e transformadoras são sonhadas e buscadas, entre elas a urgência da reforma política, que deve contracenar com um processo educativo e de configuração social capaz de revitalizar a cidadania brasileira. Agora, na lista dos nomes a serem escolhidos, com uma isenção que localiza o discernimento no território da lucidez, é preciso escolher quem pode representar melhor o povo, sem se sucumbir ao “peso pesado”, e até perverso, do mundo da política.
Há quem preferiria que se apontassem os nomes, à moda do chamado “voto de cabresto”, algo totalmente obsoleto e prejudicial que não pode mais ser o vetor das eleições. Seu contraponto é o qualificado processo de discernimento. Ainda é tempo para vivê-lo, confrontando perfis, nomes, histórias e, não menos importante, o fôlego de candidatos para dar conta de sua missão. A meta dos eleitos não pode se resumir ao sucesso nas urnas. Definidos como representantes da população nos governos e parlamentos, eles precisam permanentemente buscar o diálogo, a proximidade com o povo, disposição para trabalhar com transparência e almejar sempre as conquistas sociais.
Não é possível, a modo de cartilha, listar todos os critérios que sirvam de parâmetro para a definição dos perfis ideais de candidatos. Neste período de preparação que precede a ida às urnas, é cidadania bem vivida guiar-se também por um razoável tempo de silêncio e confrontos pessoais para chegar ao nome. Discernimento eleitoral não é simples emoção, simpatia ou antipatia, cor partidária, mero conhecimento ou amizade pessoal. O atual momento exige muito mais esforço de cada pessoa. Todos precisam partilhar a certeza de que a situação social, o desenvolvimento integral e o tratamento lúcido da sociedade civil estão no que é poder de cada cidadão: o seu discernimento eleitoral.

Fé e política para além do fundamentalismo

Fé e política para além do fundamentalismo 

"Política é uma das formas mais altas de amor social", escreve Leonardo Boff, teólogo e escritor.

Estamos em tempo de eleições. Muitos setores das várias Igrejas, também da católica, se mobilizam ao redor de projetos para o país e de candidatos a vários cargos. É o momento de esclarecermos um pouco como se dá a relação entre fé e política.
Antes de mais nada há que se distinguir uma política escrita com P maiúsculo e outra com p minúsculo. Ou então a política social (P) e a política partidária (p).
A política social (P) diz respeito ao bem comum da sociedade; assim por exemplo, a organização da saúde, a rede escolar, os transportes, os salários tem a ver com política social. Lutar para conseguir um posto de saúde no bairro, se unir para trazer a linha de ônibus até no alto do morro é fazer política social.
Essa política significa a busca comum do bem comum. Nesse nível todos os cidadãos e todos os cristãos católicos ou evangélicos podem e devem participar.
A política partidária (p) representa a luta pelo poder de estado, para conquistar o governo municipal, estadual e federal. Os partidos políticos existem em função de se chegar ao poder, seja para mudá-lo (processo libertador), seja para exercê-lo assim como se encontra constituído (governar o estado que existe). O partido, como a palavra já o diz, é parte e parcela da sociedade não toda sociedade. Cada partido tem por trás interesses de grupos ou de classes que elaboram um projeto para toda a sociedade. Se chegarem ao poder de estado (governo) vão comandar as políticas públicas conforme o seu programa e sua visão partidária dos problemas.
Com referência à política partidária, é importante considerar os seguintes pontos: ver qual é o programa do partido; como o povo entra neste programa: se foi discutido nas bases; se atende aos reclamos históricos do povo; se prevê a participação do povo, mediante seus movimentos e organismos, na sua concepção, implementação e controle; quem são os candidatos que representam o programa: que biografia têm, se estão na lista da ficha suja, se sempre mantiveram uma ligação orgânica com as bases, se são verdadeiramente aliados e representantes das causas da justiça e da mudança social necessária ou se querem manter as relações sociais assim como são, com as contradições e até injustiças que encerram.
Esse último modo de poder político foi exercido historicamente por nossas elites a fim de se beneficiar dele, esquecendo o sujeito de todo o poder que é o povo.
Como entra a fé nisso tudo?
A fé diretamente tem a ver com Deus e seu desígnio sobre a humanidade. Mas ela está dentro da sociedade e é uma das criadoras de opinião e de decisão. Ela funciona como uma bicicleta; possui duas rodas mediante as quais se torna efetiva na sociedade: a roda da religião e a roda da política.
A roda da religião se concretiza pela oração, pelas celebrações, pelas pregações e pela leitura das Escrituras.
Pela roda da política a fé se expressa pela prática da justiça, da solidariedade, da denúncia da corrupção. Como se vê, política aqui é sinônimo de ética. Temos que aprender a nos equilibrar em cima das duas rodas para poder andar corretamente.
A Bíblia considera a roda da política como ética mais importante que a roda da religião como culto. Sem a ética, a fé fica vazia e inoperante. São as práticas e não as prédicas que contam para Deus. Melhor que proclamar "Senhor, Senhor” é fazer a vontade do Pai que é amor, misericórdia, justiça, coisas todas práticas, portanto, éticas.
Concretamente, fé e política se encontram juntas na vida das pessoas. A fé inclui a política, quer dizer, um cristão pelo fato de ser cristão, deve se empenhar pela justiça e pelo bem-estar social; também deve optar por programas e pessoas que se aproximem o mais possível àquilo que entendeu ser o projeto de Jesus e de Deus na história. Foi o que o Papa Francisco ressaltou quando esteve no Brasil.
Mas a fé transcende a política, porque a fé se refere também à vida eterna, à ressureição da carne, à transformação do universo, coisa que nenhuma política social e nenhum partido ou estado podem prometer.
A passagem da fé à política partidária não é direta. Quer dizer, da Bíblia não se deduz diretamente o apoio a um determinado partido e o dever de votar numa pessoa, nem quanto deve ser o salário mínimo. A Bíblia não oferece soluções, mas inspirações para que se possa escolher bem um partido e criar um salário digno. Para um cristão na linha do que o Papa Francisco vem insistindo a política deve ser
- libertadora: não basta reformar a sociedade que está aí; importa um outro modelo de sociedade que permita mais inclusão mediante a participação, a justiça social.
- libertadora a partir das maiorias pobres e excluídas: deve começar bem em baixo, pois assim não deixa ninguém de fora; se começar pelos assalariados ou pela burguesia, deixa de fora, de saída, quase metade da população excluída.
- uma política que usa métodos libertadores, quer dizer, que use processos participativos do povo, de baixo para cima e de dentro para fora; essa política pretende mais que uma democracia representativa/delegatícia mas uma democracia participativa pela qual o povo com suas organizações ajuda a discutir, a decidir e a resolver as questões sociais. Esse foi o grande reclamo das manifestações de junho de 2013 e que se exige fortemente agora.
- uma democracia ecológico-social que respeite os direitos da Mãe Terra, dos ecosistemas, dos animais e dos seres da criação com os quais mantemos relações de interdependência.


quinta-feira, 2 de outubro de 2014

ARRENDARÁ A VINHA A OUTROS VINHATEIROS – evangelho Mt 21,33-43

ARRENDARÁ A VINHA A OUTROS VINHATEIROS – evangelho Mt 21,33-43

Há quem acha que o Evangelho seja uma doce água de rosas, um piedoso ensinamento inócuo que, afinal, só serve para enfeitar o que mais lhes convém. Essa visão equivocada, sem dúvida se distancia de qualquer preocupação exegética, contextual e atualizante, além de esquecer a secular interpretação, vivência e testemunho da Igreja, comunidade dos discípulos e discípulas de Jesus.
Este trecho de Mateus, como muitos outros, é chocante, arrasador, denunciando a sorte daquelas pessoas que só buscam o poder de dominar, humilhar, explorar os demais com a ousadia e sacanagem de querer falar em nome de Deus: a vinha sera arrendada a outros vinhateiros!
Temos aqui uma denúncia e uma profunda recusa daquelas autoridades do templo de Jerusalém, toca de ladrões (Mc 11,17; Lc 19,46), até o ponto em que estas mesmas autoridades decidem matar Jesus (Mc 11,18). Mas verdadeiros canalhas, tem medo da reação do povo. A verdade revela os planos das trevas.
É briga, briga declarada. Aqueles que se acham os destinatários das promessas antigas, banhadas no sangue dos profetas, são agora excluídos, porque não conhecem a conversão; pior, como sempre, só cuidam de seus interesses. Usam o nome de Deus para mascarar sua ganância e mania de exclusão. Afinal, acreditam que podem estar acima do Deus da Vida.
A vida continua, também nos dias de hoje, de um lado uma multidão gritando justiça diante de Deus e do outro, uns poucos que não prezam a igualdade de voz e vez, de direitos e deveres, cuja finalidade existencial é se safar dos demais, mentindo, armados de exércitos, bens, poder e meios informativos que apresentam governos fantoches como se fossem os santuários da democracia.
O que vejo hoje em dia, em nossa realidade e, sem medo de dizer, no mundo todo é a estúpida teoria e prática do acúmulo e da concentração nas mãos de poucos, quando, qualquer economista, de qualquer tendência, sabe muito bem que a economia só tem um caminho: estar aberta a todos. Quanto mais as pessoas tiverem poder aquisitivo, quanto mais se cria giro de negócios e bem-estar. Quanto mais educação e saúde, mais teremos povos capazes de se autodeterminarem sem a canalhice de assaltar os outros com todo tipo de guerra e sabotagem. As autoridades do templo de Jerusalém, achavam que pra sobreviver era suficiente fazer bons olhos aos romanos. Ficar escravos, dependentes, pagar os tributos; o importante era elas terem umas regalias e que o povo se lascasse! O império daquele tempo (Roma), como os impérios de todos os tempos, sabem muito bem que, dividindo as pessoas, é o  meio melhor para dominá-las. E assim foi, pra Jerusalém e pro seu templo; infelizmente,  morte de tantos inocentes, sacrificados no altar da canalhice das autoridades e seus puxa-saco.
Ainda há pessoas ingenuas (ou hipócritas) que acham o mundo divido em comunismo e anti-comunismo. O comunismo histórico se foi, está morto. Hoje domina o mercado; a coisa, as coisas dominam o ser humano, a elas se sacrificam povos inteiros, culturas, até a própria mãe terra. Para isso tudo presta, até o uso da religião, como naquele tempo, assim hoje.
Jesus pregou e praticou a partilha. Até os próprios discípulos diante das multidões famintas pensavam que a solução era o mercado; comprar comida; não tendo dinheiro que os famintos se lasquem. Jesus vai além, muito além de "vocês deem comida", ele pede aos seus: "vocês se façam comida, alimento para aqueles que tem fome de vida" (Mc 6,30-44). Tem pessoas que ao ouvirem isso, acham se trate de um slogan comunista; quando digo que é o Evangelho de Jesus aí elas veem com duas reações: se forem cristãos, ficam vermelhas de vergonha (ainda bem); se forem pseudo-cristãos, se enfurecem e tacham a gente com todo tipo de apelido. Por isso que a Vinha de Deus (= o Reino de Deus, a Igreja, todo Homem de Boa Vontade) será tirado dos mercenários, mesmo que se camuflem atrás de religião ou pseudopartidos políticos. O que espero nestes dias de eleições políticas em nosso país é que as pessoas procurem de fato propostas, projetos em prol do bem dos brasileiros, grande povo, sofrido, mas cheio de tanta esperança. Espero que se larguem briguinhas de parte, interesseiras e se procure esta Vida Plena que Jesus nos aponta na sua Boa Nova.

Contra a imbecilidade do atual anticomunismo

Contra a imbecilidade do atual anticomunismo

17/12/2013

Mauro Santayana é um dos jornalistas mais eruditos do jornalismo brasileiro. Sempre comprometido com causas humanitárias, contundente e dotado de um estilo de grande elegância. Somos colegas como colunistas do Jornal do Brasil-on line. Recentemente, no dia 17/12/2013, publicou um artigo sob o título HAMEUS PAPAM  com o qual me identifiquei imediantamente. Sofro ataques imbecis de que sou comunista e marxista, como se para um teólogo com 50 anos de atividade, fosse uma banalidade fazer esta acusação. Sou cristão, teólogo e escritor. Marx nunca foi pai nem padrinho da Teologia da Libertação que ajudei a formular. O atual anticomunismo  revela a anemia de espírito e a pobreza de pensamento  que  estão prevalecendo como disfarce para esconder o desastre que significa a economia de mercado, altamente predadora da natureza e agressora de todo tipo de direitos humanos e agora numa crise da qual não sabem como sair. Há tempos o Zürcher Zeitung, o maior jornal suiço e pouco depois o Times diziam que o autor mais lido hoje é Marx. Não só por estudiosos, mas por banqueiros e financistas conscientes que querem saber por que seu sistema foi a falência e por que tem tantas dificuldades em sair dele, se é que encontram uma saída que não signifique mais sacrificio para a natureza (injustiça ecológica) e para a humanidade já sofredora (injustiça social). Hoje mais e mais se percebe que este sistema é anti-vida, anti-democracia e anti-Terra. Se não cuidarmos poderá nos levar a um abismo fatal. É uma reflexão que faço contra meus acusadores gratuitos e faltos de razão. Penso às vezes que Einstein tinha razão quando disse:”Existem dois infinitos:um do universo e outro dos estultos; do primeiro tenho dúvidas, do segundo, absoluta certeza”. Estimo que muitos dos anticomunistas atuais se inscrevem nesse segundo infinito. É fácil serrar árvore caída e convardia chutar cachorro morto. Pensemos, antes, no presente com sentido de responsabilidade, unidos face a um feixe de crises que nos poderá levar a uma tragédia ecológico-social. Como fazer tudo para evitá-la e garantir um futuro comum para todos, inclusive para a nossa civilização e para nossa Casa Comum. Essa é a questão maior a ser pensada e sobre ela inaugurar práticas salvadoras e não distrair-se com discutir um comunismo inexistente, morto e sepultado. LBoff
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Habemus Papam
Acusado por um conservador norte-americano de ser marxista, Jorge Mario Bergoglio, o papa Francisco, negou sê-lo, mas disse que não se sentia ofendido, por ter conhecido ao longo de sua vida muitos marxistas que eram boas pessoas.
A declaração do papa, evitando atacar ou demonizar os marxistas, e atribuindo-lhes a condição de comuns mortais, com direito a ter sua visão de mundo e a defendê-la, é extremamente importante, no momento que estamos vivendo agora.
A ascensão irracional do anticomunismo mais obtuso e retrógrado, em todo o mundo — no Brasil, particularmente, está ficando chique ser de extrema direita — baseia-se em manipulação canalha, com que se tenta, por todos os meios, inverter e distorcer a história, a ponto de se estar criando uma absurda realidade paralela.
Estabelecem-se, financiados com dinheiro da direita fundamentalista, “museus do comunismo”; surgem por todo mundo, como nos piores tempos da Guerra Fria, redes de organizações anticomunistas, com a desculpa de se defender a democracia; atribuem-se, alucinadamente, de forma absolutamente fantasiosa, 100 milhões de mortos ao comunismo.
Busca-se associar, até do ponto de vista iconográfico, o marxismo ao nacional-socialismo, quando, se não fossem a Batalha de Stalingrado, em que os alemães e seus aliados perderam 850 mil homens, e a Batalha de Berlim, vencidas pelas tropas do Exército Vermelho — que cercaram e ocuparam a capital alemã e obrigaram Hitler a se matar, como um rato, em seu covil — a Alemanha nazista teria tido tempo de desenvolver sua própria bomba atômica e não teria sido derrotada.
Quem compara o socialismo ao nazismo, por uma questão de semântica, se esquece de que, sem a heroica resistência, o complexo industrial-militar, e o sacrifício dos povos da União Soviética — que perdeu na Segunda Guerra Mundial 30 milhões de habitantes — boa parte dos anticomunistas de hoje, incluídos católicos não arianos e sionistas, teriam virado sabão nas câmaras de gás e nos fornos crematórios de Auschwitz, Birkenau e outros campos de extermínio.
Espalha-se, na internet — e um monte de beócios, uns por ingenuidade, outros por falta de caráter mesmo, ajudam a divulgar isso — que o Golpe Militar de 1964 — apoiado e financiado por uma nação estrangeira, os Estados Unidos — foi uma contrarrevolução preventiva. O país era governado por um rico proprietário rural, João Goulart, que nunca foi comunista. Vivia-se em plena democracia, com imprensa livre e todas as garantias do Estado de Direito, e o povo preparava-se para reeleger Juscelino Kubitscheck presidente da República em 1965.
1964 foi uma aliança de oportunistas. Civis que há anos almejavam chegar à Presidência da República e não tinham votos para isso, segmentos conservadores que estavam alijados dos negócios do governo e oficiais — não todos, graças a Deus — golpistas que odiavam a democracia e não admitiam viver em um país livre.
Em um mundo em que há nações, como o Brasil, em que padres fascistas pregam abertamente, na internet e fora dela, o culto ao ódio, e a mentira da excomunhão automática de comunistas, as declarações do papa Francisco, lembrando que os marxistas são pessoas normais, como quaisquer outras — e não são os monstros apresentados pela extrema-direita fundamentalista e revisionista sob a farsa do “marxismo cultural” — representam um apelo à razão e um alento.
Depois de anos dominada pelo conservadorismo, podemos dizer, pelo menos até agora, que Habemus Papam, com a clareza da fumaça branca saindo, na Praça de São Pedro, em dia de conclave, das veneráveis chaminés do Vaticano.
Um Papa maiúsculo, preparado para fortalecer a Igreja, com o equilíbrio e o exemplo do Evangelho, e a inteligência, o sorriso, a determinação e a energia de um Pastor que merece ser amado e admirado pelo seu rebanho.

Votar em Dilma Roussef para continuar a invenção do novo Brasil

Votar em Dilma Roussef para continuar a invenção do novo Brasil

01/10/2014

Tempos atrás publiquei um artigo com o título “Contra as tramóias da direita: sustentar a Dilma Rousseff” Agora em tempos de campanha presidencial vejo como ele mantem ainda atualidade. Refaço o texto no contexto atual. É notório que a direita brasileira especialmente aquela articulação de forças elitistas que sempre ocuparam o poder de Estado e o trataram como propriedade privada (patrimonialismo), apoiadas pela midia privada e familiar, está se aproveitando da crise que é mundial e não apenas nacional (e temos a vantagem de manter um mínimo de crescimento e o emprego dos trabalhadores, coisa que não acontece nem na Europa e nem nos USA) para fazer sangrar a Presidenta Dilma e desmoralizar o PT e assim criar uma atmosfera que lhes permite voltar ao lugar que por via democrática perderam.

Celso Furtado num livro pouco lido A construção interrompida (1993) escreveu com acerto:”O tempo histórico se acelera e a contagem desse tempo se faz contra nós. Trata-se de saber se temos um futuro como nação que conta na construção do devenir humano. Ou se prevalecerão as forças que se empenham em interromper o nosso processo histórico de formação de um Estado-nação” (Paz e Terra, Rio 1993, 35).

Aqui reside a verdadeira questão: queremos prolongar a dependência daquelas forças nacionais e mundiais que sempre nos mantiverem alinhados e sócios menores de seu projeto ou queremos completar a invenção do Brasil como nação soberana que tem muito que contribuir para atual crise ecológico-social do mundo.

Se por um lado não podemos nos privar de algumas críticas ao governo do PT, mas críticas construtivas, por outro, seria faltar à verdade se não reconhecêssemos os avanços significativos sob os governos do Partido dos Trabalhadores. A inclusão social realizada e as políticas sociais benéficas para aqueles milhões que sempre estiveram à margem, possuem uma magnitude histórica cujo significado ainda não acabamos de avaliar, especialmente se nos confrontarmos com as fases históricas anteriores, hegemonizadas pelas elites tradicionais que sempre detiveram o poder de Estado.

Surgiu um estranho ódio contra o PT em muitos âmbitos da sociedade: suspeito que esse ódio é porque as políticas públicas permitiram aos pobres usarem o avião e visitarem seus parentes no nordeste, que conseguiram comprar seu carrinho e entrar num shopping moderno. O lugar deles, dizem, não é no avião mas permanecer lá na periferia, pois esse é seu lugar. Mas eles foram integrados na sociedade e em seus benefícios.

Devemos aproveitrar as oportunidades que os países centrais em profunda crise nos propiciam: reafirmar nossa autonomia e garantindo nosso futuro autônomo mas relacionado com a totalidade do mundo ou desperdiçá-las e vivermos atrelados ao destino sempre decidido por eles que nos querem condenar a sermos apenas os fornecedores dos produtos in natura que lhes falta e assim voltam a nos recolonizar.
Não podemos aceitar esta estranha divisão internacional do trabalho. Temos que retomar o sonho de alguns de nossos melhores analistas do quilate de Darcy Ribeirp e de Celso Furtado entre outros que propuseram uma reinvenção ou refundacão do Brasil sobre bases nossas, gestadas pelo nosso ensaio civilizatório tão enaltecido mundialmente.
Este é o desafio lançado aos candidatos à mais alta instância de poder no país. Não vejo figura melhor para seguir nesta recontrução a partir de baixo, com uma democracia representativa e participativa, com os seus conselhos e movimentos populares opinando e ajudando a formular caminhos que nos levem para frente e para o alto do que a atual Presidenta Dilma.
A situação é urgente pois, como advertia, pesaroso, Celso Furtado: “tudo aponta para a inviabilização do país como projeto nacional” (op.cit. 35). Nós não queremos aceitar como fatal esta severa advertência. Não devemos reconhecer as derrotas sem antes dar as batalhas como nos ensinava Dom Quixote em sua gaia sabedoria.
Essa batalha será decidida dia 5 de outubro. Que os bons espíritos guiem os rumos de nosso país.

http://leonardoboff.wordpress.com/2014/10/01/votar-em-dilma-roussef-para-continuar-a-invencao-do-novo-brasil/