segunda-feira, 11 de agosto de 2014

Una mistica di fedeltà creativa

I nuovi orizzonti della VC  in America Latina

UNA MISTICA DI FEDELTÀ CREATIVA

In AL sta nascendo una VC più umile, più centrata in Dio, più missionaria, più semplice, mossa dallo Spirito e dai suoi carismi, con nuove forme di comunità aperte ai laici; una VC che scuote per le piccole storie a cui dà origine, per la bellezza dei volti compassionevoli, gioiosi, e il cuore rivolto a coloro che soffrono.

La vita consacrata in America latina è alla ricerca di nuove idee. Non si rassegna a diventare un fossile. Vuole essere un organismo vivo e fecondo. Non è solo un auspicio, ma l'orizzonte delineato dall'Assemblea generale della CLAR del giugno a Quito, nel conte­sto di un Piano globale progettato per i prossimi anni. Lo slogan di quella assemblea, i cui risultati furo­no poi presentati anche al papa Fran­cesco, era: "Ascoltiamo Dio dove la vita grida". (cf. Testimoni 11/2013). In America latina la VC, sulla spinta delle idee formulate in questo Piano globale, sta vivendo un processo di rivitalizzazione, si potrebbe dire, di "rifondazione", il cui grembo di ge­stazione è la vita del popolo. È in questo ambito che essa nutre deside­ri, ideali, sogni che rafforzano la sua volontà di essere segno. È interessante ciò che scrive a que­sto riguardo Carlos Del Valle, svd, nel quaderno della rivista cilena di VC Testimonio di novembre-dicem­bre 2013. La vita consacrata vuole tornare ad essere segno, mostrando, di fronte al secolarismo, all'indifferenza, alla su­perficialità, il desiderio di Dio insito nel profondo del cuore di tanti uo­mini e donne; nel proporsi come esperienza di vita fraterna, di fronte all'individualismo e alla solitudine, e come strumento per costruire comu­nione. Inoltre, di fronte al consumi­smo, vuole mostrarsi come espres­sione di un anelito di semplicità e li­bertà interiore, di austerità di vita, e davanti alla smania del potere e del dominio, come espressione di un de­siderio di dedizione, di servizio umi­le e di una gratuità del tutto aliena dal prestigio.

La ricerca di una vita mistica
Del Valle descrive le vie, e di conse­guenza le scelte, che dovranno caratterizzare il rinnovamento della vita consacrata nel continente. La prima che indica è quella della mistica. Il secolo XXI, scrive, o sarà mistico o non sarà umano. La mistica qui è in­tesa come riscoperta del senso profondo della vita, come apertura all'orizzonte di Dio.
«Viviamo - scrive - di cose che ci di­straggono, di urgenze che ci aneste­tizzano, di compiti che ci soddisfano e di sicurezze che ci tranquillizzano ... vegetando tra l'indifferenza e la rou­tine, istallati nelle nostre fedeltà. Ma a che cosa siamo fedeli? Al passato o a ciò che Dio vuole da noi? Per esse­re fedeli al passato bastano le prati­che e le consuetudini. Per essere fe­deli all'oggi è necessaria la creatività. La prima virtù del mistico è di esse­re creativo, non fedele alla routine. Noi vogliamo collocarci come uomi­ni e donne di Dio in questa società. Ma ... come Elia (1Re 19, 1-14) ci ri­fugiamo nelle nostre grotte: tradizio­ni, routine, le nostre verità, costumi e sicurezze. L'angelo (il popolo, la so­cietà) ti dice: «esci dalle tue grotte, dalle tue consuetudini, dalle tue con­vinzioni, dalle tue verità imparate ... e mettiti davanti ai bisogni della gen­te». Come Gesù che nella missione si orienta non tanto verso ciò che ha imparato, ma verso i bisogni delle persone che incontra.
Si sente un vento impetuoso, il terre­moto, il fuoco ... il nostro attivismo, il protagonismo, tutto ciò che ci fa rite­nere importanti e ci dà prestigio, ciò che ci induce ad essere funzionari del sacro e non testimoni di Gesù. Facciamo molte cose, fino a pensare che la VC acquisti efficacia lavorati­va, eccellenza professionale ... Ma an­che "eccellenza evangelica?" La do­manda va in un'altra direzione. Tra­smettiamo molto vangelo nelle mol­te cose che facciamo?
Le nostre istituzioni, il significato sociale di cui godiamo, la guida mo­rale che esercitiamo, il personaggio in cui mi rifugio, l'essere élite sacra che mi ·induce a ritenermi diverso ... Tutto quello che allontana dalla vita di coloro che hanno poco, sanno po­co e possono poco. Il potere, il cleri­calismo, gli abusi nella Chiesa, le no­stre verità escludenti guardano dal­l'alto i laici, ai diversi ... Qui non c'è il Signore.
Una brezza soave ... Nella vita reli­giosa del continente sta nascendo qualcosa di nuovo: un linguaggio di coerenza, cose fatte con amore, nu­trite di preghiera, un linguaggio che vola alto. Ansia di spiritualità, colti­vazione della dimensione contem­plativa, interesse per l'inserimento tra il popolo, al servizio degli ultimi. Lo Spirito sta risvegliando la grazia della missione, una missione come dialogo. Si sta profilando una VC più umile, di qualità spirituale, più cen­trata in Dio, più missionaria, più semplice dal punto di vista istituzio­nale, mossa dallo Spirito e dai suoi carismi, con nuove forme di comu­nità aperte ai laici, una VC che scuo­te per le piccole storie a cui dà origi­ne, per la bellezza dei volti compas­sionevoli, gioiosi, con il cuore rivol­to a coloro che soffrono.
Si respira una crescente ansia di cambiamento. Nei messaggi e nelle assemblee la consegna basilare è:
Vogliamo un'altra cosa. Stanchi del­la mancanza di onestà, di trasparen­za nelle diverse sfere pubbliche e nelle sfere segrete personali. La no­stra VC possiede una profonda carica di buona volontà, di sete di one­stà e coerenza, di fame di vita, di se­te di Dio. Tanti religiosi/e ogni gior­no gridano il vangelo con la vita e di­cono che lo spazio della Chiesa e della VC nella società non deve esse­re il potere.
Vogliamo vivere come discepoli-fra­telli e missionari-testimoni. Se un missionario non è testimone, è un autoinganno. Uno può spostarsi da un continente all'altro, ma se non è testimone di Cristo, sarà in missione come chi è in un safari. Se non siamo radicati nell'esperienza di Dio, non avremo niente da dire ai nostri con­temporanei. Ci sentiremo irrilevanti, impotenti a rispondere alle sfide che la società pone oggi alla Chiesa. La domanda fondamentale è: abbiamo l'energia spirituale necessaria per far fronte alle sfide che oggi ci pone la società?
Con il Concilio abbiamo intrapreso il rinnovamento della VC cercando l'efficacia apostolica. Oggi lo faccia­mo a partire da presupposti spiritua­li, entrando più nella logica del dono che in quella dell'eroismo personale. La vita, più che di salvatori, ha biso­gno di innamorati. Il problema nella vita consacrata è quello della spiri­tualità, dell'avere o no esperienza di Dio. È la risposta alla crisi delle per­sone e alla crisi dell'istituzione. Il peccato ... l'anemia spirituale. Quan­do si perde la passione per Gesù e il suo regno, ci resta il rifugio nelle pra­tiche devozionali. Da qui una vita light: in preghiere formali e di routine, una vita comunitaria che si riduce a vivere e a lasciar vivere, la missione come un insieme di compiti, gusti e a termine ... Quando ci si attacca il vi­rus dell'anemia spirituale diventiamo degli otri vecchi, senza creatività. Il vino nuovo della testimonianza di­venta aceto. E vi mettiamo i limiti della categoria che paralizza la spe­ranza».

L’OPZIONE PER GLI ESCLUSI
La seconda linea: il secolo XXI o op­terà per gli esclusi o non sarà cristia­no. Come nutrire una missione cari­smatica e profetica?
«La crisi di identità - sottolinea Del Valle - deriva sempre da una debole esperienza di Dio e da un disorienta­mento nella missione. Che identità stiamo consolidando oggi? Una iden­tità corporativa, alimentata a partire da una comunità di missione a servi­zio dei feriti dalla violenza della sto­ria, ai margini del benessere?
Noi religiosi/e siamo presi da tante cose e a volte lasciamo ciò che ci ri­guarda. Con un duplice pericolo: di­ventiamo funzionari del sacro, o spe­cialisti in cose generiche, con una identità light. È più comodo lavora­re in progetti pastorali già esistenti che inaugurare nuove presenze mis­sionarie di frontiera. Per il primo aspetto, basta la capacità di gestione. Per il secondo, si richiede creatività e coraggio. Se saremo creativi e co­raggiosi continueremo a dare un no­me alle realtà della nostra vita e mis­sione. Continueremo a definirle e a qualificarle, dando un orientamento evangelico e un significato nella Chiesa e nella società.
Tanti elementi assumeranno un no­me nuovo e un orientamento evan­gelico e un significato nuovo nella Chiesa e nella società. A titolo di esempio: vita consacrata ... più vita e più con­sacrata, volontà di Dio ... relazioni fraterne, la mia congregazione .... allargare la tenda ai laici, i miei fratelli e le mie sorelle ... ri-af­fascinati della loro vocazione. Religioso, religiosa ... volontario, vo­lontaria a tempo pieno. Progetto di vita e di missione ... gli al­tri, la vita di coloro che soffrono. Sorelle/fratelli, sacerdoti ... apprendi­sti come discepoli-fratelli. Spiritualità ... di donazione, di incon­tro. Comunità .... dalla porte aperte, in­terculturale. Religiosi/e ... con energia spirituale, formati in profondità. Missionari/e ... testimoni, non funzio­nari. Missione ... carismatica e profetica. Sfide della realtà .... volontà di Dio scritta nella vita. Luogo dei religiosi/e ... il deserto, la periferia, la frontiera.
Così cambierà il clima della Chiesa e verso la Chiesa: attraverso il servizio e la donazione, passando dal clerica­le-gerarchico al fraterno-discepola­re. Nella dedizione troviamo la no­stra identità religiosa. Ciò che oggi convince da parte di qualcuno non è la sua parola, non sono le sue opere, la sua predicazione o gestione, ma la sua vita dedicata agli altri; farsi cari­co, incaricarsi e caricarsi di ciò che avviene e pesa negli altri.
La nostra identità, il carisma, la spi­ritualità li scopriremo non solo rovi­stando nella tradizione della nostra congregazione. Li troveremo anche nella missione carismatica e profeti­ca che incarniamo. Il sale e il lievito esprimono ciò che sono e lo scopo a cui servono quando si mescolano, quando si perdono e si consumano nel dare sapore e nel far fermentare la massa del pane. Il significato della nostra vocazione ... è cercare Dio al di là dell'ambito del sacro, nelle frontiere dove vivono coloro che hanno tutto contro, in luoghi dove la vita e l'esclusione giungono ad esse­re quasi sinonimi. Ciò che importa è la sofferenza delle persone. L'amore cristiano si manifesta quando il suo mondo si concentra completamente nel dolore del debole, cercando di fare in modo che tutti gli esseri viventi siano liberi dal dolore. La vita e l'amore si diffondono dove ci sono religiose/i che sono dono nel cuore degli ambienti emarginati. Le comunità di periferia costituiscono il contrassegno di una VC mistico-pro­fetica latinoamericana. Un servizio invitante ... che la caratterizza. La VC è tornata alla sua terra di origine. L'incontro con il povero è il territo­rio della VC per eccellenza. Il tribu­nale dei poveri giudica la nostra mis­sione. È facile incontrare l'escluso, la cosa difficile è continuare l'incontro, tradurlo in punto di orientamento della propria vita e missione. Facciamo della missione profetica una convinzione, una persuasione, più che un'idea. Le idee si pensano. Nelle convinzioni si vive. La spiritua­lità di chi vive nelle sue convinzioni è la nostra forza. Sempre guardando verso l'alto ma dal basso. Perché ab­biamo il cuore accanto agli esclusi. Con essi e a partire da essi si vive il vangelo. Il nostro compito ... sentirci e sederci con la Parola di Dio accan­to ai poveri per alimentare la consa­crazione».

Una linea ecumenica e interculturale
La terza linea indicata da Del Valle:
Il secolo XXI cristiano o sarà ecume­nico, interculturale o non sarà eccle­siale.
«Un carisma vive nella misura in cui lo si rigenera. Se vogliamo essere fe­deli al carisma dei fondatori e delle fondatrici, bisogna cambiare la vita nei nostri istituti, cambiando noi la nostra vita. Chiamati alla fedeltà creativa: fedeli alle radici e fedeli al nuovo per non adagiarci nel passato, soffocando lo Spirito a forza di rou­tine. Guardare avanti, impe­gnandoci per il futuro, la­sciandoci toccare dall'im­pulso del nuovo. Dio si ma­nifesta negli avvenimenti prima che nella Parola. Il Dio biblico è il Dio della vita, della storia. Molte co­se che oggi definiamo co­me Parola di Dio, Israele le imparò dai popoli e dalle religioni vicine. Le ricevette da Dio attraverso di essi. Il nostro mondo è più plurale ... Il presente con futuro della vita consa­crata passa oggi attraverso il profeti­smo della interculturalità.
Per essere costruttori e testimoni del carisma della VC nel sec. XXI biso­gna intraprendere il cammino del dialogo interculturale. Costa passare dall'io al tu culturalmente diverso e più ancora al noi della intercultura­lità. Viviamo con una serie completa di relazioni e amicizie. Apriamo la porta e facciamo accomodare alla nostra mensa (tempo, amicizia, beni, interesse) coloro che scacciano i de­moni essendo dei nostri. Ci minaccia una grettezza di mentalità, di relazioni ed esperienze chiuse nella nostra cultura; ci riduce, ci rende ripetitivi, chiusi nelle consuetudini, incapaci di aprirci a qualcosa di nuovo. Ci fa sen­tire insicuri il fatto di allargare la ten­da delle nostre relazioni e lasciare che entri gente di confine, forse por­tatrice di modifiche all'insieme del nostro modo di vivere. Quando entra gente diversa, questa smuove le sicu­rezze, e non ci lascia installarci né es­sere incoerenti; ci fa abbreviare la di­stanza tra ciò che siamo e quello che diciamo. È come il sale sulla ferita, brucia ma risana, non ci lascia marci­re nella mediocrità.
 La vita religiosa sarà significativa oggi se assumerà le differenze cultu­rali delle persone e dei gruppi nella vita e nella missione. Le vie del pro­fetismo passano attraverso l'impe­gno a gettare ponti e aprire strade di andata e ritorno per creare una ci­viltà di dialogo e inclusione. Il mono­logo ci rende coscienti di noi stessi; il dialogo ci apre alla realtà e ci cambia in essa e con essa. L'incontro inter­culturale è fonte di fecondo appren­distato. La persona diversa mi arric­chisce, mi aiuta a passare dall'indif­ferenza al dialogo per incontrarci. Mi aiuta a convivere, non a compe­tere; ad essere umile perché come esseri umani abbiamo bisogno di umiltà per convivere, non di prepo­tenza per competere. Pensiamo a che cosa potranno essere le nostre congregazioni se si lasceranno tocca­re il cuore da altre culture non occi­dentali ...
L'attenzione alla diversità farà e­mergere una nuova spiritualità, un'autentica comunione. Sarà un fat­tore di rinnovamento e di creatività, di trasformazione che indurrà a pas­sare dal centralismo al pluralismo, da uno stile dogmatico a uno stile dialogico, dall'eccesso di identità e autosufficienza all'autocritica e al­l'innovazione. Obbligherà a rompere abitudini e atteggiamenti di routine comodi, paralizzanti e ad abbando­nare la rigidità di certe tradizioni vuote e insignificanti. L'intercultura­lità nelle comunità oggi richiede di dare vita al vangelo e credibilità alla vita religiosa”.
(Tratto dalla rivista TESTIMONI, n° 4 di aprile 2014)





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